Avevo meno di un anno e non ricordo se ad Agrigento la terra ha tremato e se quella notte ho pianto come piangono i bambini terrorizzati da urla, da crolli, da rumori mai sentiti.
Cinquantacinque anni fa, il 14 gennaio del 1968 (io sono del marzo 1967) un violentissimo terremoto ha sconvolto il Belìce causando la morte di centinaia di persone, un migliaio di feriti, quasi centomila senza tetto. Il sisma ha distrutto abitazioni, monumenti, chiese, la storia di tante comunità in un’area compresa tra le province di Agrigento, Trapani e Palermo.
Ancora si parla di ricostruzione, ancora si parla di sacri edifici aperti di recente ai fedeli dopo lavori di recupero e messa in sicurezza.
L’istituto nazionale di Geogisica e Vulcanologia riporta il terremoto del Belice in una scheda dei terremoti più catastrofici dai primi del Novecento ad oggi, con intensità X e magnitudo 6,1 (il più forte è il terremoto che nel 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria con intensità XI e magnitudo 7,2).
I segni sono ancora evidenti e le ferite per chi è sopravvissuto ancora aperte. Ci sono centri abitati che sono stati abbandonati per essere sostituiti da più moderni e più sicuri agglomerati antisismici in altra zona. I ruderi, oltre che eterna testimonianza della tragedia, sono diventati attrazione turistica.
A Sciacca, mi hanno raccontato tempo fa, le scosse sono state avvertite. E la paura è stata tanta.
Proprio a Sciacca, durante le feste del recente Natale, una settimana fa circa, un turista in piazza Angelo Scandaliato si è avvicinato a me, appoggiato sereno sulla ringhiera a godermi la quiete del mare, il sole di una splendida giornata e la voce dei gabbani. Ho pensato: ma che vuole questo? Mi ha chiesto informazioni per andare a Poggioreale.
“Non ci sono mai andato”, ho risposto. “Ma un attimo che cerco sulla mappa del mio cellulare …”
E nel dirglielo mi sono permesso, nella temporanea confidenza, di chiedere il motivo della richiesta.
“È dove c’è stato il terremoto”.
“Guardi, per andare a Poggioreale, deve prendere la strada per Menfi e svoltare all’incrocio con direzione Sambuca di Sicilia e Santa Margherita di Belìce. E lungo la strada non vedrà solo i resti di quella tragedia. Non è stato solo a Poggioreale. In questi paesi sono stato per eventi musicali e culturali, guardi le foto. Così come sono stato a Gibellina, per assistere a un concerto e alla bellezza dell’arte ovunque”.
Gli faccio vedere pure le foto che rintraccio sul cellulare.
“Bello!” mi dice.
“Non è difficile andarci. Basta imboccare l’autostrada per andare a Palermo. C’è l’uscita proprio per Gibellina, tra le uscite per Partanna, Santa Ninfa, Salemi. Le consiglio di andare anche a Selinunte prima e poi a Segesta dove, oltre a un tempio greco, c’è un teatro antico in cima a una collina. Si gode un panorama della Sicilia che è …”
Rintraccio il selfie che nel teatro di Segesta, prima di una rappresentazione teatrale, mi sono fatto con la famiglia e glielo mostro. Il turista mi ringrazia, mi saluta e va via dietro una donna che penso essere la moglie o la compagna, soddisfatto delle informazioni ricevute con le varie possibilità di vedere non solo Poggioreale, non solo ruderi di morte, ma tanto, tanto altro ancora in pochi spostamenti, in pochi chilometri, tra sole e buio.
Raimondo Moncada
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