Tira muleddu

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Questo Γ¨ il testo che trent’anni fa cantavo negli spettacoli dei gruppi folcloristici La Vallata e Gergent, assieme ad altre canzoni, condividendo tanti palcoscenici con gioiosi e giovani amici che sono rimasti tali (sia gioiosi che giovani).

È il canto del carrettiere e l’ho cantato anche oltre il recinto della Sicilia, in Turchia, in Romania, con la sua cantilena molto caratteristica.

Pensavo: ma che ci capiranno mai i turchi?
Magari penseranno: ma chistu chi parla arabu?
E poi: non saranno delusi dalla musica lenta, trascinata, perchΓ© da noi siciliani si aspettano giochi d’artificio?

E cantando, e mimando (senza animale) le mosse di chi rientrava a casa sopra il carretto o a dorso di un mulo, pensavo al durissimo lavoro del contadino e al modo di stemperare le fatiche intonando versi alla luna e alla propria amata.
Quanta poesia! Quanto sentimento!

Oggi i carretti sono pezzi da museo o da corteo museale alla Sagra del Mandorlo in Fiore. Ma un giorno di tanti anni fa (fine anni Ottanta), mi sono sentito chiedere da una ragazza a Milano: ma giΓΉ andate ancora con i carretti?
Quella domanda Γ¨ rimasta impressa nel mio cervello a dimostrazione del pregiudizio che si radica nelle menti delle persone.
Le ho risposto: no, i carretti sono stati abbandonati da tempo. Noi siciliani viaggiamo con i muli, sono ecologici ed economici. Fanno bene alla salute e convengono alle nostre tasche. E nel traffico urbano sono molto veloci. Noi meridionali del Sud siamo avanti.

Il tempo mi darΓ  ragione.

Raimondo Moncada

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