Le foto sono pezzi di storia, pezzi di te, della tua famiglia, della tua città natale. Un’immagine ti apre una vita, come questo istante che mi ha girato su Whatsapp, nei giorni di Pasqua, mio fratello Giuseppe, come per dirmi: guarda come eravamo, con chi eravamo, dove eravamo.
Tutto in bianco e nero. C’è lui e ci sono io (l’ultimo in alto a destra) e c’è mia zia Lina e c’è anche mia sorella Rosina nell’altro frammento di foto e ci sono tanti altri, compresa una suora.
La foto risale a mezzo secolo fa. Quanto tempo è trascorso! Viene pure difficile crederci. Si attivano dentro di me dei fili sottilissimi che mi collegano a quel momento, a quel luogo, a quel sentimento, a quegli occhi che ancora mi guardano.
Siamo ad Agrigento, nel cuore del suo centro storico, sotto il quartiere della Cattedrale, a pochi passi da Santa Maria dei Greci. Questo per inquadrare il contesto dell’asilo che ho frequentato, del quartiere dove ho mosso i primissimi passi, dove ho imparato a parlare e a giocare, a crearmi i primi amici, dove sono cresciuto fino a quasi sei anni, respirando l’aria filtrata dalle mura umide e profumate degli antichi edifici, sentendo le voci provenienti dalle piccole case tutte unite attorno a monumenti, a resti dei tesori del passato, che ho attraversato correndo con i miei piedini per vicoletti e scalinate e per botteghe che ancora ricordo vive dove entravo con mia mamma a fare spesa e a ottenere la caramella.
Il tempo passa e quel quadro acquista ancora più valore. Perché dentro c’è la vita, la vita davanti a quei volti innocenti, con un’aspettativa enorme, con la potente curiosità di scoprire e capire il mondo, con una città gira tutta attorno a quelle minuscole creature che ancora devono crescere, conoscere altre strade, e uscire da quell’idillio che dura il tempo dell’infanzia e che prosegue col bambino che ti porti dentro per sempre.
Per la cronaca, la foto mi vede all’interno dell’asilo dell’ex istituto Schifano (che poi, da grande, ho visto crollato come altri edifici familiari) gestito dalle suore di San Vincenzo De Paoli che riuscivano a riunire nell’attiguo convento, nella Salita Sant’Antonio, tante donne tra ricami e preghiere (ricordo pure un meraviglioso e grande giardino e un terrazzo da cui si ammirava un paesaggio da favola con i rispettosi tetti della città sottostante e la vastità del mare ancora più infinito e azzurro di adesso).
L’anno della foto dovrebbe essere il 1972 (o forse il 1971), cinquant’anni fa. Mezza vita già vissuta, con la speranza adesso di raddoppiare e la curiosità di conoscere la storia degli altri bambini che hanno condiviso con me la vita nell’asilo, quella dei primi giochi e del primo carretto lanciato tra le urla di spensierata gioia nella discesa di Via Duomo.
Raimondo Moncada
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