Da ieri leggo e rileggo le parole di Michela Murgia, scrittrice, cinquant’anni, che confessa in un’intervista, concessa ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, di essere stata aggredita da un male incurabile e in stato ormai avanzato. Mi colpiscono il suo stato d’animo, il linguaggio, la sua narrazione, il suo punto di vista, la sua agghiacciante consapevolezza di quel che le sta accadendo e di quel che sarà.
Lo confesso: non mi stava simpaticissima (ricordo la battuta su Battiato), ora sto completamente con lei in un grande abbraccio silenzioso a occhi chiusi e andrò a comprare il suo ultimo libro, Tre Ciotole, in cui racconta l’esperienza di una malattia che è una sentenza e che colpisce non solo la tua sfera fisica ma tutto il resto uccidendoti l’anima.
Dice Michela:
“Non mi riconosco nel registro bellico. Mi sto curando con un’immunoterapia a base di biofarmaci. Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti.
Parole come lotta, guerra, trincea… Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere.
Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno.
Definirlo così sarebbe come sentirsi posseduta da un demone. E allora non servirebbe una cura, ma un esorcismo. Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente. La guerra vera è quella in Ucraina. Non posso avere Putin e Zelensky dentro di me. Non avrei mai trovato le energie per scrivere questo libro in tre mesi”.
Sono parole, quelle di Michela Murgia, che si aggrappano a te. E non puoi non leggerle, non rileggerle. Non puoi non pensarci, non far finta di niente, vivendo tutti i giorni nelle montagne russe degli stati d’animo che dentro di te mutano continuamente, repentinamente, sulla base di un pensiero, di un panorama, di un incontro, di una lettura, di una parola, di una battuta, di un segnale, di un fastidio, di una domanda, di un dolore, di un sole che sorge, di un sole che tramonta.
Raimondo Moncada
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