Lo ricordo bene, raggiante, orgoglioso, negli studi televisivi di Primarete essere intervistato nel 1990 per l’Oscar al film Nuovo cinema paradiso. Quel premio apparteneva anche a lui, attore del cast di quel capolavoro di emozioni del cinema italiano di Giuseppe Tornatore che lo chiamerà anche per Malena. Ho incontrato Franco Catalano all’apice della sua carriera artistica, divisa tra il cabaret, il teatro di prosa, la televisione e, appunto, il cinema.
Frequentava tanto Agrigento. Ma era originario di Casteltermini, paese che ha dato i natali a Michele Guardì, Enzo Di Pisa, Fabrizio Giuliano.
In quegli anni l’ho incrociato spesso, a partire da una mia piccola partecipazione al cortometraggio Si cunta, si canta e si raccunta per Rai Tre, alla fine degli anni Ottanta, dove ho incontrato anche gli attori di quella che diventerà la mia compagnia teatrale e poi la mia seconda famiglia. Franco era il protagonista dello sceneggiato così come di altri sceneggiati televisivi per Rai Tre: Ragazzi di zolfo, La corda pazza, Giufà, Contro la piovra.
Allora, con il regista e attore Enzo Alessi del Gruppo Teatro l’Officina, con il musicista e compositore Antonio Zarcone del Gruppo Popolare Favarese, costituivano un gruppo solido che organizzava importanti produzioni artistiche e anche iniziative a favore di giovani aspiranti attori che sono rimaste nella storia, come i due laboratori teatrali che si sono svolti all’inizio degli anni Novanta nel teatro dell’Ipia Enrico Fermi di Agrigento affidati alla direzione artistica di Andrea Camilleri e con molti docenti dell’Accademia teatrale Silvio D’Amico di Roma (tra quegli insegnanti ricordo un giovanissimo Gaetano Aronica).
E a quel laboratorio ho partecipato così come tanti altri giovani provenienti da tutta la provincia, uscendone tanto arricchiti. In quel laboratorio ho conosciuto la ragazza che diventerà mia moglie e madre di mia figlia. Un’allieva, Maricetta Lombardo, è diventata tra le più apprezzate direttrici del suono, pluripremiata con diversi Nastri D’Argento.
Questo per esprimere gratitudine all’intelligenza, alla lungimiranza, alla passione, di uomini d’arte agrigentini come Franco Catalano, artista poliedrico, molto apprezzato e compianto, generoso e affettuoso che si faceva voler bene.
In tanti ricorderanno le sue apparizioni nella storica trasmissione televisiva Drive in di Antonio Ricci, su Italia Uno, comico tra i migliori comici di allora. E poi in tantissimi spettacoli, in Italia e all’estero, dove amava mettere in scena la maschera a cui era molto legato: Giufà, tra dolce e amaro, tra risata e malinconia. Faceva ridere e piangere. Perché Franco Catalano non era solo un personaggio comico. Aveva dentro tutte le altre corde, poetiche, surreali, anche quelle drammatiche e collaborava con tutti i più grandi artisti, registi e operatori culturali della provincia di Agrigento (gli amici attori di Sciacca di TeatrOltre gli hanno dedicato una rassegna di teatro comico). Era molto legato alla sua terra, alle sue tradizioni, alla sua realtà, alle sue potenzialità, ai suoi amici, a chi credeva in lui.
Ricordo i suoi legami, le sue amicizie e le sue collaborazioni artistiche con Antonio Zarcone, Enzo Alessi, Giovanni Moscato. E poi i Dioscuri, Berta Ceglie, Nellina Laganà, Tonina Rampello, Fabrizio Giuliano, Carmelo Rappisi, Filippo e Lucia Alessi, Nenè Sciortino, e tanti, tantissimi altri. L’autore e regista Mario Gaziano nel 2001 gli ha dedicato il libro Franco Catalano: una vita da artista: gli esordi, il cabaret, la radio e la televisione, il teatro popolare, il cinema.
C’è un episodio che non dimenticherò mai. Eravamo in tournée a metà degli anni Novanta, con la versione teatrale de La corda pazza, in diverse località tra Francia, Belgio e Germania, dove era molto conosciuto e amato. Si recitavano diverse novelle di Pirandello sceneggiate per il teatro da Enzo Alessi. Io facevo il narratore. Nella novella tragicomica Da sé, a un certo punto Franco Catalano liberava il suo cardellino dalla gabbia (di peluche) prima di dare il via al suo funerale in vita e lo lanciava dietro le quinte.
“E ora va! Cercati un altro destino”.
Io sono sul palcoscenico con lui. Inizio a recitare la mia parte, quando inaspettatamente quel peluche torna indietro, da dietro le quinte viene lanciato di nuovo in scena da un attore (so chi è!). Franco riesce a trattenersi, a fare finta di niente, a rimanere fermo nella parte come i grandi attori. Io invece rido, rido così tanto davanti al pubblico da non riuscire a contenermi, da non riuscire a pronunciare la mia battuta fino a quando con grandissima difficoltà, sempre ridendo, arrivo alla fine ed esco di scena, guardando in volto Franco e vergognandomi profondamente ma nel frattempo ridendo sempre.
È stato l’ultimo spettacolo di una bellissima esperienza artistica e umana, e per quell’ultimo spettacolo era stato premeditato uno scherzo che è rimasto dentro di me a ricordo di un momento, dentro e fuori il palcoscenico, vissuto assieme a un artista che ci ha lasciato prematuramente il 18 luglio del 2000, a sessant’anni.
Franco Catalano amava recitare, stare sulla scena, rallegrare ogni compagnia, trasmettere le sue emozioni, con le parole, con la sua caratteristica mimica, con le sue maschere. Per lui era un fatto naturale e un dono. Ogni luogo, nella vita reale, per lui era un palcoscenico ed era felice. Le luci del palcoscenico lo accendevano, gli davano vita, animavano i suoi tanti personaggi. L’arte drammatica l’aveva nel sangue e ha recitato fino a quando le condizioni di salute glielo hanno consentito (ricordo la sua preoccupazione, la sua malinconia, la sua crescente sofferenza degli ultimi anni con il pensiero fisso ai suoi più cari affetti).
Il nome di Franco Catalano rimarrà per sempre nell’albo degli artisti agrigentini più illustri e conosciuti in Italia e nel mondo. E nel cuore di chi lo ha amato e lo ama.
Raimondo Moncada
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