I doni di Francesco Cassar

Francesco Cassar l’ho incontrato qualche anno fa a casa sua. E poi non più. A causa del Covid e poi della malattia.

Mi ha fatto vedere il suo luogo intimo, il suo studio, la sua postazione di lavoro, il suo computer. Era felice come un bambino.

Non si fermava mai di scrivere. Era sempre pieno di idee, di voglia di fare, di voglia di mettere per iscritto quel che sapeva, quel che andava scoprendo, per mettere ordine, per capire meglio, per far capire meglio, per farci partecipi delle sue conoscenze e delle sue ultime scoperte.

Si definiva un servitore della cultura, come lo zio Aurelio.

Era un fiume in piena, inesauribile, inarrestabile. Era capace pure di tenerti a telefono per una mattinata a parlare dei suoi progetti, di quello che aveva in mente.

Solo la sofferenza della malattia lo ha piano piano frenato e poi chiuso. Gli ha impedito di essere fisicamente presente pure alla presentazione del suo ultimo libro sulla cultura del ‘900 a Sciacca e sui suoi tanti protagonisti.

Francesco Cassar ci ha lasciato la sua opera, la sua passione, la sua missione, il suo amore per i libri, la ricerca, la storia, la cultura, la città che gli ha dato i natali (“non a caso quasi tutti i miei lavori citano nel titolo il toponimo Sciacca”).

Le sue opere sono un dono e me le tengo strette, compreso l’affettuoso autografo.

Raimondo Moncada

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