Gli occhi si sono aperti alle 4,30 e non per qualche rumore.
C’è silenzio.
Neanche i gabbiani si sentono come le altre notti gridare per i cieli incuranti della gente che dorme.
Tutto è buio.
L’unica luce è il display del mio cellulare che mi surriscalda i polpastrelli dei pollici.
Proprio adesso il silenzio viene rotto dal rombo del motore di un’auto che lascia il suo posto sicuro per andare non so dove. Ma a quest’ora aprono solo i forni dei panifici e forse le pasticcerie (ieri la sorpresa di pagare un quartino di pane un euro: ero fermo a 70 centesimi).
C’è chi si alza prima del sole e di tutti gli altri per andare a lavorare. Ma c’è anche chi lavora di notte per la nostra tranquillità.
A ripensarci non c’è veramente silenzio silenzio, che è uno stato di mancanza totale di suoni. Alle orecchie sento come una vibrazione sonora, non so come definirla. È come quando metti le orecchie nella bocca di un pozzo profondo del quale non vedi la fine ma solo un buio infinito che si riverbera, nello spazio e nel tempo.
Ecco, un gabbiano! Ma di sicuro non fa il panettiere. Si sarà svegliato per andare a cercare la colazione per lui e magari per i figli. Sarà di quei genitori che pensano prima alla prole e poi a se stessi.
Eccone un altro. E un altro ancora.
È il segno che l’alba è vicina?
Tra poco una lama di luce squarcerà la notte e come ieri, e come sempre, sarà un nuovo giorno e a me è rivenuto sonno.
Raimondo Moncada
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