Un monumento per Alexander Hardcastle grande quanto un telamone

Un monumento, gigante quanto un telamone. Questo meriterebbe sir Alexander Hardcastle ad Agrigento e non in un posto qualsiasi ma dentro la sua Valle dei Templi. Ed io il sito ce l’ho, l’ho immaginato: il quadrivio di Porta Aurea, dove si intersecano la strada che conduce al tempio di Vulcano, la strada che scende per San Leone, la strada alberata che ci porta alla rotatoria Giunone e la strada che sale per la città che lo ha folgorato per la sua bellezza, tanto da donarle tutto il proprio patrimonio e la sua stessa seconda vita, fino alla morte.

Alexander Hardcastle non è celebrato abbastanza per quello che ha fatto per “la città più bella dei mortali”. Paolo Cilona, saggista e presidente del Cepasa, gli ha dedicato due libri. Uno si intitola L’ascesa e il declino di Alexander Hardcastle.

Capitano dell’esercito inglese, dopo la partecipazione alla Prima guerra mondiale venne congedato per motivi di salute. “Per il suo bene gli fu suggerito di intraprendere un viaggio in Italia, non solo per le favorevoli condizioni climatiche ma in forza delle propensioni culturali che da sempre coltivava per il mondo classico”. Un giorno venne in visita ad Agrigento e se ne innamorò. Acquistò subito, nel 1921, per 55 mila lire, Villa Aurea e vi fissò la sua residenza, tra templi dorici, silenzio, sole, aria pulita, la luce del passato da far risplendere: il suono fronte, questa volta di pace e rigenerazione. 

Vi rimase per dodici anni, dedicando tutto se stesso all’antica Akragas, a ricostruire il distrutto, a recuperare i cocci e a rimetterli assieme, non badando a spese, non chiedendo soldi a enti o ad altri benefattori ma attingendo al proprio conto in banca in un periodo storico in cui non c’era la sensibilità di oggi per i beni culturali e magari si utilizzavano pezzi di telamoni per costruire case o porti.

“Per tutto il periodo del suo soggiorno in Agrigento – scrive ancora Paolo Cilona nell’introduzione del suo libro – si prodigò con impegno e passione a sostenere finanziariamente diverse campagne di scavi che riportarono alla luce importanti reperti archeologici dell’antica e gloriosa Akragas, tra cui la cinta muraria orientale della polis, il santuario delle divinità ctonie, i templi di Esculapio e di Vulcano. Durante gli anni che vanno dal 1922-1926 portò a termine l’innalzamento delle sette colonne del tempio di Ercole. Contribuì con proprie risorse a salvare dal crollo l’ex Monastero di Santo Spirito e a portare l’acqua nella Valle dei Templi attraverso la realizzazione di una condotta. Nel 1926, in collaborazione con la società Archeologica Magna Grecia, acquistò i terreni vicini al tempio di Giove Olimpico compresa l’area della Kolimbetra sulla quale condusse, sotto la guida dell’archeologo Pirro Marconi, scavi e ricerche archeologiche. Fra tutti gli stranieri che soggiornarono ad Agrigento egli si distinse soprattutto per l’alto e disinteressato amore per l’arte, i monumenti e l’archeologia”.

Nato a Londra il 25 ottobre 1872, morì ad Agrigento il 26 giugno 1933 in una stanza dell’ospedale psichiatrico dove venne ricoverato per “l’accentuarsi dei suoi disturbi psichici” legati alla “grande crisi finanziaria di Wall Street del 1929 che portò al fallimento la banca dove il capitano, per sua grande sfortuna, deteneva i risparmi e i titoli di investimento”.

Esaudendo un suo espresso desiderio, il capitano venne seppellito nella città della sua rinascita, nell’angolo estremo del cimitero di Bonamorone da dove, attraverso una finestrella aperta nel muro di cinta, continua a guardare, nell’eterno riposo, la sua Valle dei Templi.

Nel suo testamento, nominò suo erede universale lo Stato Italiano “e per esso il Ministero della Pubblica Istruzione” per istituire nella sua “proprietà di Villa Aurea un ricovero a uso di studio per artisti di qualunque nazione”.

Generoso fino all’ultimo.

Raimondo Moncada

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