Acqua, la paura di vivere il già vissuto

I connazionali delle regioni del nord, come gli amici di Bologna, senza i romantici recipienti idrici sui loro spogli tetti e con l’acqua corrente nei loro appartamenti, che ne sanno della festa che si accende in Sicilia quando nel tuo quartiere e nei vicoli dintorno cominciano a suonare come in un’orchestra sinfonica i motori delle autoclavi che, dalle condutture esterne, prendono per mano la preziosa acqua di passaggio per accompagnarla tutta eccitata dentro casa tua, nel cuore delle tue accoglienti cisterne. Ed è una gioia grande, effervescente, che si ripete infinitamente in ogni attesa per il nuovo turno.

Lo dico di ritorno a casa dopo due mesi di assenza, preceduto in altra terra, in Emilia Romagna, da allarmi a tutti i livelli per una nuova possibile dannata emergenza idrica nella mia Sicilia che inevitabilmente, in uno stato di timore indotto, mi riapre i traumi del passato.

Io ci sono nato e cresciuto con questo spettacolo sinfonico, ad Agrigento, la mia città natale. La melodia mi è molto familiare. Mi è entrata dentro infante, adolescente e quasi adulto.


La felicità dell’acqua scorrere nei rubinetti assetati allora era moltiplicata, enorme, perché in certi momenti (ricordo il periodo del Villaggio Mosè) l’attesa del nuovo turno era molto molto più lunga di adesso.

Non ci sono paragoni con l’oggi: durava settimane e settimane e settimane: un’eternità! Quasi ti dimenticavi dell’esistenza stessa dell’acqua. Oppure ti abituavi malinconicamente, sopraffatto da una realtà che sembrava immodificabile, con cui convivere tra montagne di panni da lavare, tra corpi puzzolenti da detergere.

Seriamente parlando: un dramma personale, familiare e sociale che spero non si ripeta mai più, MAI PIÙ.

Senz’acqua non si può stare. Senz’acqua non si può vivere.

Raimondo Moncada

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