“Ci sarà un seguito?”
Finora nessuno mi aveva rivolto questa domanda. E mi ha molto sorpreso. E ancora ci penso.
È successo ieri sera a Sciacca, al termine della presentazione del libro sulla storia di mio padre Gildo. Un signore che non conoscevo, dopo avere ascoltato i vari interventi, le canzoni, le letture di alcuni brani, il ricordo dei partigiani saccensi, si avvicina e mi rivolge la domanda che nessuno mi aveva ancora rivolto pensando a una storia chiusa, con un inizio e una conclusione con la morte del protagonista.
“No!” ho detto subito, “non ci sarà un seguito, quello che avevo da scrivere l’ho scritto”.
Ma dicendolo, pronunciando il mio no, ho pensato in simultanea che forse non è così.
Ci sarà un seguito al Partigiano bambino?
Non ci ho mai pensato. Ma forse, forse, dentro di me è già scritto e vuole solo prendere forma con inchiostro e parole. Come è già accaduto con la scrittura del Partigiano bambino scritto dopo quindici anni dalla morte di mio padre, spinto da una forza sconosciuta ma potente che ogni volta mi afferrava lo stomaco senza darmi tregua costringendomi a pensarci.
C’è una memoria emotiva, carnale, genetica, che fa anche male, e che deve essere solo ascoltata, decifrata e compresa. E i libri non si finiscono mai di scrivere, li chiudiamo solo noi, un giorno, per tanti motivi. Per me è un libro aperto, mai chiuso. Tanta fierezza, ma tanto dolore.
Raimondo Moncada
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