A li mura con nonno Accursio

Una foto ti apre una vita, cavalca a ritroso gli anni e ti fa precipitare dentro un quartiere un tempo popolato da persone a te tanto care. È quello che è accaduto ieri sera con la foto di un angolo suggestivo che mi sbuca fuoriuscendo da gli stretti vicoli del quartiere dei Marinai, sopra il porto di Sciacca.

L’attraverso, tutto bagnato dall’altissimo grado di umidità, e incontro due uomini seduti su sedie di plastica, uno a poca distanza dall’altro. Stanno lì, pur in condizioni meteo proibitive da doccia continua. Non accennano a rinunciare allo spettacolo della natura nell’ora dell’addio al sole e col mare di che si tinge di pannosità.

Uno dei due uomini ha una vecchia radiolina tra le mani che gli canta “Questa piccola serenata”.

Ecco il primo commento su Facebook. Arriva dall’amico poeta e giornalista Calogero Parlapiano: “Sono molto legato a questo angolo di panorama e di mare. I miei nonni, e non solo loro, lo chiamavano ‘a li mura’. Negli anni ‘50 e ‘60 le mogli erano solite attendere il rientro delle barche su cui lavoravano i loro mariti. Dall’alto riconoscevano le sagome delle barche e sapevano che stavano per rientrare. Nei giorni tempestosi erano lì a sperare che tornassero sani e salvi, e qualcuno purtroppo non tornava. Altri tempi, altri ‘mura’, altre storie. Mio nonno ci tornava spesso e mi ci portava a volte, a ricordare la sua vita da pescatore. Mi mancano molto quei momenti”.

Calogero, con il nonno, il padre e i fratelli

Molto bella, dico a Calogero, questa tua viva testimonianza, con la condivisione di un ricordo intimo, familiare.

E lui continua a regalarmi ancora un pezzo della sua memoria che riprendo per lasciare traccia: “La za Fanedda, la za Pitrina, la za Pippa, la za Caloggira, la za Maria, tutte realmente esistite, e chissà quante altre ne dimentico. Oggi le loro porte sono tutte chiuse, ma le loro voci ‘a li mura’ riecheggiano ancora forti, accanto a lu scifu di pietra e a lu cannolu d’acqua. A parlare di pesca, dei tempi andati e di pasticciotti. Grazie per questa fotografia che questa sera mi ha riportato, commosso, a quei giorni da bambino con mio nonno Accursio”.

Basta una pietra a riportarti indietro di una vita e a rivivere momenti già vissuti. Calogero mi invia una foto di famiglia in cui descrive il nonno Accursio con queste parole: “Pelle ambrata scavata dal sale e dal mare di Sciacca, e mille storie avventurose da raccontare. Andava fiero del suo nome legato alla fede ancestrale verso la Madonna del Soccorso, di cui per un periodo fu anche portatore”.

Al ricordo di quest’epoca passata, si aggiunge l’amico Antonello Licata, figlio del poeta Vincenzo Licata: “Le donne, grandi osservatrici, guardavano anche le murate delle barche per capire se la pesca era stata buona o povera”.

“È vero ed è chiaro – risponde Calogero Parlapiano – altrimenti la sera non si mangiava, e le famiglie allora erano molto molto numerose”.

“Quella di mio nonno Filippo 13 figli! Viva la Marina di Sciacca” dice Antonello Licata.

Si aggiunge anche il commento di Nico Miraglia, figlio di Accursio: “Nei giorni tempestosi, le mogli erano tutte lì a recitare il Rosario, con una devozione che sapeva di implorazione. Me li ricordo quei momenti, perché io passavo tutti i giorni da lì. Scendevo alla marina da mia madre che lavorava nella nostra industria di pesce salato”.

Spunta infine il ricordo di Agnese Sinagra, assessore al Comune di Sciacca: “La casa di fronte, era di mia zia, amatissima sorella della mia nonna paterna, la za’ Maria: una donna vedova da una vita, con tanti figli e nipoti che ogni giorno la venivano a trovare. Compresa io, con mia nonna Nunzia. Ho passato qui una parte della mia infanzia, a questo muretto, in questo fazzoletto di piazzetta che è la più bella e panoramica di sciacca, non fosse altro per i ricordi. Orde di bimbi, odori, rumori, tavolate serali, chiacchiere e risate, che oggi non ci sono più. E al tramonto, nelle sere di maggio, stormi di rondini che volavano dalla Marina verso gli alberi del centro città. E garrivano velocissime, nere, staccandosi sul rosato del tramonto e sull’azzurro del mare. Non ho mai visto uno spettacolo più bello”.

Raimondo Moncada

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