L’autore della prima copertina del Gattopardo

La copertina della prima edizione del Gattopardo

Il romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha avuto nel tempo diverse copertine. La prima, quella della pubblicazione del 1958 per l’editore Feltrinelli, porta la firma di un grandissimo grafico italiano, a me molto familiare. Sono in pratica cresciuto col suo nome, sempre nella bocca di mio padre. E sicuramente l’ho pure incontrato da piccolo prima che morisse a Raffadali, nel 1974.

Allora avevo sette anni. 

L’autore della prima copertina del Gattopardo è Albe Steiner, grafico, designer, docente, fraterno amico di Salvatore Di Benedetto e maestro di mio padre, Gildo Moncada. 

Non lo sapevo, l’ho scoperto di recente facendo delle ricerche nell’archivio storico del Corriere della Sera. 

Albe Steiner è stato insegnante di Grafica di mio padre al Convitto scuola della Rinascita di Via Zecca Vecchia a Milano, istituzione che lui stesso ha fondato assieme a amici pittori e architetti dopo la seconda guerra mondiale per aiutare gli ex partigiani, gli ex deportati nei campi di sterminio a riprendere la vita, l’istruzione, il lavoro. E mio padre mi parlava spesso di questo suo maestro, al quale era tanto legato e che ogni anno o quasi scendeva in Sicilia per ristorarsi di bellezza e di amicizia ospite a Raffadali e a Eraclea Minoa del poeta, scrittore ed ex sindaco Salvatore Di Benedetto.

Mio padre Gildo Moncada al Convitto scuola della Rinascita di Milano (il primo a destra)

Io ho conosciuto la moglie Lica, che alla fine degli anni Ottanta mi ha aperto le porte della loro casa studio museo di Milano, mettendomi tutto a disposizione appena mi sono presentato dicendo “Sono il figlio di Gildo Moncada”.        

Albe Steiner è stata una figura di riferimento per la grafica italiana del Novecento. È stato art director della casa editrice Feltrinelli dal 1955 al 1965, elaborando il progetto grafico di tante copertine, come quelle del Tropico del Cancro e del Capricorno di Henry Miller, dei libri di Hernest Hemingway e, come detto, dell’unico romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa pubblicato postumo nel 1958 dopo i rifiuti ricevuti in vita dalle case editrici.

Il manifesto della mostra dedicata a Albe e Lica Steiner a Reggio Emilia

Insegnante ai Convitti Rinascita, alla scuola del libro all’Umanitaria, negli istituti d’arte di Urbino, Roma e Firenze, Steiner ha collaborato con diverse case editrici (anche Einaudi e Zanichelli) e con le principali società e industrie italiane come Olivetti e Pirelli. Chiamato dallo scrittore Elio Vittorini, collabora nel 1945 alla redazione e impostazione grafica del settimanale “Il Politecnico” e del quotidiano “Milano Sera”. Lavorerà poi a diverse pubblicazioni tra cui Domus, Casabella e Oggi. 

Albe Steiner collaborò anche con la RAI, col Piccolo Teatro di Milano, con la Triennale, con la Biennale di Venezia, 

“Il segreto di Albe – ha scritto Italo Calvino sull’Unità del 3 settembre 1974 – era nella contentezza che metteva nel suo lavoro, divertendosi come se giocasse. Nella contentezza che cercava continuamente di trasmettere negli altri attraverso tutto ciò che faceva e diceva e con la sola sua presenza. Un divertimento che non implicava affatto un atteggiamento di distacco, anzi egli credeva nel suo lavoro con una serietà e una passione assolute, in tutta la sua visione del mondo; la sua morale attiva, la sua passione pedagogica, il suo entusiasmo li esprimeva nel suo lavoro”.

Immagine tratta dalla pagina Facebook Licalbe Steiner legata alla mostra a loro dedicata

Segnato all’età di undici anni dall’assassinio dello zio Giacomo Matteotti, è stato attivo nella stampa clandestina antifascista e partigiano nella Val d’Ossola. Nel 1960 è autore con Piero Caleffi del libro fotografico Pensaci Uomo, considerato il primo libro di documentazione sui campi di sterminio nazisti in Europa. È stato tra i realizzatori del Museo del deportato di Carpi-Fossoli. L’anno della sua morte, il Comune di Milano gli ha conferito la medaglia d’oro di benemerenza civica. Nel 2004, la moglie Lica Covo Steiner e le figlie Anna e Luisa hanno donato l’Archivio Albe e Luca Steiner al Politecnico di Milano. Sulla sua tomba a Mergozzo, un blocco di granito reca la scritta: “Albe Steiner partigiano”.

È la stessa scritta che è incisa sulla lapide della tomba di mio padre, con l’aggiunta “grafico e pittore”.

“Quest’uomo, la cui storia familiare era stata a più riprese segnata dalla tragedia per il ripetuto accanirsi della ferocia fascista – scrive Italo Calvino sull’Unità del 3 settembre 1974 –, aveva sempre davanti agli occhi la visione di strage che occupa tanta parte della nostra esperienza. Era questo il suo costante punto di riferimento, della sua idea del mondo, della sua tematica espressiva, della sua vita di militante. Era appunto questo fermo fronteggiare la tragedia che gli imponeva di tracciare una netta linea di demarcazione tra il proprio mondo di valori e l’esperienza di un male assoluto. Egli era sempre teso ad allontanare tutto il negativo al di là di quella linea perché al di qua l’ottimismo restasse l’elemento decisivo”.

Raimondo Moncada

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