Vincenzo Catanzaro, pianto e rimpianto

Rimarrò col rammarico di non aver recitato con lui, nella stessa commedia, sullo stesso palcoscenico (è stato regista, attore, scrittore, insegnante…).

Un giorno di tanti anni fa mi propose, a Sciacca, di far parte del cast di una sua opera con la compagnia dell’Isola, non ricordo quale. Sono rimasto sorpreso e onorato. L’ho ringraziato e gli ho detto: vediamo. Mi sarebbe piaciuto. Ero ancora in un periodo in cui non abitavo a Sciacca e viaggiavo, viaggiavo tanto, da pendolare. E questo frenava i miei entusiasmi.

Fare teatro significa impegno, sacrificio, sottostare a delle regole, rispettare il regista e la compagnia, i tempi delle prove. Non puoi prendere un impegno e dire: si è fatto tardi, mi sono stancato, debbo mettermi in macchina, mi chiama mia moglie, debbo andare…

Alla fine non ho potuto prendere alcun impegno in quel momento e un’altra occasione non si è più presentata.

Vincenzo Catanzaro mi ha telefonato alcuni mesi fa sapendo del mio percorso terapeutico non di finzione, preoccupato come un padre per il mio stato di salute. Lì abbiamo condiviso i nostri acciacchi. Non conoscevo i suoi.

Mi ha fatto tanto piacere la sua telefonata. Era la prima volta.

Poi ci siamo visti di presenza, al Circolo di Cultura, in una serata dedicata ai copionisti storici del Carnevale di Sciacca, lo scorso mese di febbraio. Lui dava voce ai suoi copioni, coinvolgendo come sempre il pubblico con i suoi divertenti testi, con la sua inconfondibile voce, con la sua mimica, con la sofferenza nascosta sotto il suo baffo ma che il corpo svelava; io davo voce all’amico Lorenzo Raso.

Nell’attesa del nostro turno (c’erano le esibizioni di Pippo Graffeo e Angelo Pumilia) ci siamo messi a parlare e a sedere vicini e io me lo sono fotografato tutto, come si fotografano i grandi, le storie, i monumenti. E lui mi vedeva che io lo fotografavo come accaduto in una precedente occasione. E gli ho fatto avere le foto e lui mi ha ringraziato.

Quella sul Carnevale è stata la sua ultima esibizione. Nonostante il precario stato di salute, ha voluto esserci per sacro rispetto dell’impegno preso, degli organizzatori, degli amici copionisti, del pubblico, dello spettacolo, della sua Sciacca, della sua storia.

Non un professore, ma un maestro.

Raimondo Moncada

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