Dissi lu sceccu a lu mulu… tradotto il labiale dopo millenni

“A chi sì sceccu!?”
Ci sono delle volte in cui mi sento proprio così: asino, somaro. Non un animale, anche se appartengo alla stessa specie (animal sapiens). Non una bestia. Ma ignorante, un pozzo vuoto di conoscenze.

C’è tanto da sapere e il non sapere abbastanza mi crea disagio. E il disagio aumenta quando entro in una libreria, quando entro in una biblioteca. Ho la sensazione di essere schiacciato dalla montagna cartacea con i caratteri delle parole che mi mangiano dentro come i vermi.

Mi piacerebbe contenere tutto il contenuto di quei libri (un imbuto non andrebbe bene?). Ma non si può. Impossibile. Ci vorrebbero non so quante vite e io di vita ne ho solo una (forse nel prossimo futuro, con una scarica elettrica mi potrei trasmettere il contenuto di tutti i libri elettronici).  

Ogni anno, solo in Italia, si pubblicano circa 60 mila volumi (con una media di 250 pagine a volume, sono 15 milioni di pagine comprensive delle pagine dei libri che portano anche la mia firma). Ai 60 mila volumi, bisogna quindi aggiungere i libri stampati in altre nazioni e i libri già pubblicati nei secoli dei secoli fa, compresi i papiri egiziani e le scritte rupestri dei primi ominidi. Per non parlare delle informazioni contenute in miliardi di pagine di Internet.  
Meglio non pensarci perché se ci pensi lo “scecco” che c’è in me comincia a ragliare.

Ma perché lo scecco ha un significato negativo? Me lo sono sempre chiesto. L’ignorante, l’impreparato, lo svogliato, chi non studia, chi non ne vuole “mancu cu lu mutu” (neanche con l’imbuto!), chi piange di fronte alla pagina scritta, viene additato con frasi che non lasciano scampo: “Sì tuttu sceccu”, “Sì sceccu tunnu”: sei un asino, un somaro in modo integrale. Una volta, mi raccontano i più anziani, chi non studiava, chi sbagliava i compiti, era destinato a una terribile punizione: doveva indossare una maschera che raffigurava la testa di un asino e, da scecco, mostrarsi prima ai compagni di classe e poi seguire il resto della lezione dietro la lavagna.

L’asino, poverino, non è solo scecco, nel senso di ignorante, ma anche cretino, stupido, incapace, rozzo, testardo. Al femminile “sceccu” ha altri significati.     

“A chi sì sceccu!?”

L’asino è così sfortunato che non può neanche vantarsi di essere somaro. La saggezza sicula è emblematica. In siciliano si dice “sceccu ca s’avanta nun vali mancu un sordu”, asino che si vanta non vale neanche un centesimo di euro (il meno scecco di tutti è stato Socrate: “So di non sapere”). E si dice anche “megliu lu sceccu priatu ca lu sceccu a priari”, meglio un asino vanitoso ma allegro che un somaro stupido che vuole essere pregato per il potere che crede di avere. Ma l’asino è sinonimo anche di operosità, tanto utile all’uomo. Il significato è tutto in una proverbiale frase rubata al labiale di un somaro: “Dissi lu sceccu a lu mulu: semu dati pi dari lu culu”. 

La traduzione, a prova di contestazione, è tutta nell’onomatopeica saggezza. Il sapere costa fatica, ma sorride. 
Raimondo Moncada

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