Non privatemi dei miei ospedali

Non privatemi dei miei ospedali, il Maggiore e il Bellaria di Bologna. Non privatemi di nessun ospedale. Cos’è questa autonomia differenziata? In quale direzione stanno orientando la sanità pubblica?

Per avere sicurezza di assistenza e cure, nell’ottobre del 2021 sono emigrato in Emilia Romagna. Da paziente bisognoso di competenza, di umanità, di strutture, di speranza, sono stato fino ad oggi assistito, curato, servito secondo le mie attese, forse anche di più.

Ospedali della sanità pubblica che funzionano, che ti accolgono, che trovano spazio. Organizzazione, professionalità, tecnologie, gratuità: cosa volere di più? Mi costa solo raggiungere l’Emilia Romagna e stare a Bologna, lontano da casa mia. Per fortuna esistono parenti e amici che ti vogliono bene, altrimenti sarebbe stato tutto difficile.

Ora mi chiedo: e se la possibilità di rivolgermi alla sanità dell’Emilia Romagna o a quella di altre regioni del Nord (della comune Italia) mi fosse d’improvviso negato?

È in corso un processo di riforma noto come “autonomia differenziata” che tira dentro anche l’ambiente in cui sono costretto a stare e che per me rappresenta in questo momento la vita. La sanità dell’Emilia Romagna a cui mi sono affidato mi ha dato e continua a darmi sicurezza, la certezza della cura a misura del paziente.

Cosa significherà l’autonomia differenziata per il sistema sanitario nazionale? Ogni regione diventerà una sorta di piccolo stato sanitario e mi chiederà il passaporto per farmi varcare il suo confine? Continuerà ad assistermi e ad assistere quanti per necessità saliranno dal Sud Italia? Avrò a che fare con un sistema ancora pubblico e per i pazienti a costi contenuti (con ticket differenziato) o dovrò pagare per intero cure finanziariamente insostenibili?

Sono domande che formula la mia paura da paziente dipendente da due ospedali dove sono stato preso in carico e non la ragione o la conoscenza di quel che il legislatore ha in mente di fare. Sono ancora ignorante in materia.

La filosofia che si intuisce potrebbe anche essere considerata giusta: ogni regione si occupi dei propri pazienti e della propria sanità, di renderla sempre più efficiente, come avviene per i rifiuti nei comuni. Ogni comune, infatti, ha il proprio sistema di raccolta differenziata. Ma i malati non sono rifiuti, non possono essere differenziati.

Ogni regione deve essere più responsabilizzata a organizzare al meglio la propria sanità e a superare le inefficienze. Giusto. Ma quanto tempo ci vorrà alle regioni che statisticamente stanno sempre dietro per mettersi al passo? Dovrò attendere, e da paziente che non può pazientare, che la mia terra si metta in positiva competizione con le regioni del Nord (e magari le superi) per trovare quelle sicurezze che al momento ho trovato?

Non possiamo meritarci la sanità che abbiamo (in Emilia Romagna è accesissimo il dibattito sulla sanità, sul suo stato di salute, sul bisogno di aumentare il personale, di pagarlo meglio, di ottenere ulteriori fondi per far sorridere i bilanci e migliorare ancora strutture e servizi).

Debbo essere libero e nelle condizioni di raggiungere sempre il medico, l’infermiere, l’ospedale, lo strumento clinico che diano il massimo di garanzie per la mia salute e per l’attraversamento dello stato di malattia nel migliore dei modi possibili. Non posso pensare di essere sfiorato dal pensiero di diventare straniero a casa mia e di chiedere il permesso di soggiorno e di cura per essere assistito e curato in strutture dove tra l’altro opera una grossissima percentuale di medici e infermieri provenienti dal Sud. E di questo personale sanitario del Sud, eccellenza nell’eccellenza, che lavora al Nord, che ne facciamo?

Quante domande, quanti dubbi, quanti timori. Magari tutti, anche il Sud, ne trarranno grandissimo beneficio come la migliore terapia per un malato non in buone condizioni di salute.

Raimondo Moncada

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