Bisogna avere anche coraggio nella malattia. Il coraggio di esporsi, di esprimersi, di raccontare, di farsi vedere, senza vergogna.
La malattia ti cambia, nel fisico e nella testa.
Quando sono sceso a Sciacca da Bologna sono rimasto chiuso per più di una settimana prima di decidermi di varcare la porta di casa, farmi vedere, magro, debilitato, gonfio nella pancia. Poi ho rotto la porta.
In questi giorni ho incontrato la voce di un’amica che non incontravo da un po’.
“Raimondo!”
Mi ha chiamato e ci siamo riconosciuti. Io col berrettino, lei senza (in reparto, durante la chemio, la maggior parte delle donne che ho incontrato, avevano un copricapo).
Mi capita adesso, dopo qualche anno di forzato stop, di riaffrontare il pubblico. E lo faccio anche se ho qualcosa che mi gonfia la pancia e mi stringe alla vita i pantaloni. Non è la mia tradizionale “panza”. Ma è un dispositivo che entro quest’anno, spero, mi toglieranno.
Perché lo dico?
Così, per non fare spaventare nessuno. Ti vedono e gli occhi cadono lì. E poi lo dico per me, per non richiudermi, perché è un fatto normale.
Raimondo Moncada
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