I cuochi della salute per i malati oncologici

Docenti e studenti dell’I.I.S.S. Amato Vetrano

Quando ti curi contro il cancro perdi il gusto, non per la vita perché quello viene amplificato. Perdi il senso del gusto, quello per i cibi, per l’alimentazione, perché le terapie sono così forti da provocarti dentro come l’effetto di una bomba che distrugge il cattivo e anche il buono.

Lo ricordo benissimo all’ospedale Bellaria di Bologna, un anno fa, quando ero in chemioterapia, quel senso di riempimento con il cocktail di farmaci personalizzato che mi entrava nel corpo attraverso il Pic, l’ingresso venoso diretto al braccio destro. Già durante l’infusione, per come si chiama, sentivo in me la trasformazione goccia dopo goccia, per ore e ore, con un mix di stordimento, annientamento, affaticamento, nausea, livellamento del gusto, inappetenza … E quando arrivava il momento di mangiare, perché arrivava, io le prime volte mi sedevo nel mio posto del tavolo, davanti al piatto del pranzo e della cena, ma c’era in me solo rifiuto, repulsione. Ci provavo, provavo a mangiare ma non mi andava di mettere in bocca niente di quello che mi portavano. Niente aveva gusto, tutto faceva schifo. E lasciavo il primo, e lasciavo il secondo, lasciavo tutto.

“Deve mangiare, Raimondo, dai, provi, si sforzi!” mi dicevano già nei miei primi giorni di ricovero in ospedale, medici e infermieri diventati col tempo miei amici.

Niente, non c’era alcuna voglia, non c’era alcuno stimolo, non c’era la fame perché troppo pieno d’altro, non c’era il gusto. Le papille non rispondevano più, erano quasi morte.

“Prova a cucinarmi qualcosa che non ho mai mangiato, dal gusto strano, nuovo, potente …” dicevo a Lucia, mia moglie, durante gli altri cicli di chemioterapia in day hospital (dalle 8,30 alle 15,30 in ospedale per le infusioni e poi a casa), durante i quali ho cominciato a perdere chili su chili arrivando a perdere pure la mia folcloristica panza della salute.

È il quadro che mi ha subito ricordato un progetto che vede assieme l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento e l’Istituto Alberghiero e Agrario “Amato Vetrano” di Sciacca. Me ne ha parlato la dirigente scolastica Caterina Mulè in un incontro che ha avuto come argomento non i tumori e neanche la mia personale esperienza ancora in corso, ma altro. La dirigente non sapeva di me, della mia patologia, del mio percorso medico.

Caterina Mulè, dirigente dell’Amato Vetrano

“È da un po’ che non ci vediamo”, ha esordito vedendomi.

E io all’inizio del nostro incontro non ho detto niente di me. Dico quando mi chiedono. Ho solo manifestato tanti interesse quando si è messa a parlare del progetto didattico oncologico-gastronomico denominato “Cuochi della salute”. È nato, mi ha detto, su idea del coordinatore dell’Unità di Oncologia dell’ospedale Giovanni Paolo II di Sciacca, Domenico Santangelo.

Belle, bellissime notizie, sul fronte della scuola e su quello della sanità.

Nell’evidenziare l’importanza che l’alimentazione assume nel migliorare la qualità di vita delle persone ammalate di tumore, l’iniziativa punta a far individuare ai ragazzi allievi della scuola gli alimenti salutari da preferire e le tecniche di cottura da adottare.

Sono in corso ricerche, previste esercitazioni in laboratorio e incontri formativi (la prossima settimana) con lo stesso oncologo Domenico Santangelo e con il medico Matteo Pillitteri, specialista nel campo della nutrizione che ha messo a disposizione la propria professionalità per l’avvio di un ambulatorio dedicato alla nutrizione clinica dei pazienti oncologici del “Giovanni Paolo II”.

Gli studenti impareranno così ad elaborare ricette specifiche e speciali per le diverse patologie cliniche tumorali con l’obiettivo di non far perdere il gusto e il piacere di mangiare ai pazienti oncologici calibrando al meglio il rapporto tra alimenti e terapie salvavita.

Alla conclusione del progetto, mi dice la dirigente Caterina Mulè, sarà pubblicato un opuscolo con tutte le ricette elaborate nelle aule dell’istituto “Amato Vetrano”, una grande e preziosa istituzione scolastica, sempre presente e protagonista nel territorio, sensibile a temi di rilievo culturale, sociale e ora anche sanitario. Perché l’alimentazione accompagna le persone nella loro intera esistenza. Senza nutrizione non si vive. Senza buoni cibi non c’è salute. Così come senza ospedali ben attrezzati, anche umanamente, per le cure dei pazienti con gravi patologie non c’è speranza, non c’è guarigione.

Attendo con curiosità il libro. Già so che le ricette saranno appetitose. Ma spero di non averne mai più bisogno. Adesso mangio e forse troppo. Con i miei gusti.

Raimondo Moncada

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